Ciao Jacko

La notizia della morte di Michael Jackson mi ha colpito più profondamente di quanto mi aspettassi.
La morte di qualcuno che conosci ti colpisce sempre anche se Jacko, ultimamente, non attirava le mie simpatie; sarò rigido ma non sopporto chi, avendo a disposizione tutti i mezzi e le opportunità, si autodistrugge inseguendo sogni e chimere. Non lo tollero fra la gente intorno a me, figuriamoci nelle figure “medianiche” che già tollero poco per questa loro caratteristica.

La sua morte non mi ha colpito per la tragica fine di un eterno ragazzo di cinquant’anni che ha avuto una vita difficile (difficile? Mi vengono in mente le baraccopoli di Dakar), sempre proteso a superare il suo stesso successo di per sé insuperabile (essendo cambiati il pubblico e le condizioni generali); mi ha colpito soprattutto quanto Jacko ha influenzato dagli States la mia vita qui in Italia.

La sua improvvisa mancanza mi ha fatto aprire cassetti della memoria ricoperti di polvere, ma comunque ancora lì a formare il mio gusto ed il mio pensiero.
Tanto per precisare il concetto, mi è venuto in mente un particolare di costume: i calzini bianchi. Jacko sdoganò negli anni 80 il calzino corto bianco che è sempre stato, prima e dopo, sintomo di individuo sfigato, facendolo diventare improvvisamente un must.
Ed eccomi là, in jeans, calzino bianco, scarpe da tennis, giacca nera su maglietta bianca che sorrido fiero in una foto dell’epoca; dovevo sentirmi tanto cool, anche se questo termine è entrato in uso successivamente.

Malgrado siano passati più di vent’anni quel ragazzo vestito in maniera oggettivamente improponibile è ancora dentro di me (come anche una marea di calzini bianchi nel mio cassetto della biancheria) e la morte di Jacko l’ha portato alla luce.
Come ha portato alla luce un’interminabile sequenza di brani di sue canzoni dal mio ipod mentale, soprattutto quelle ballate un po’ mielose così adatte a crogiolarsi in una dolce malinconia, anch’esse sicuramente ed intimamente legate agli episodi della mia vita, come una colonna sonora che a volte non hai mai chiesto e che sta sempre lì tuo malgrado.

Mi sono reso conto ancora una volta di più e per esperienza diretta di quanto i media, lo show business, contribuiscano a creare una coscienza comune, anche in me e, ribadisco, mio malgrado.

La crisi e l’unico metodo per uscirne


Non posso dire che la grande crisi che viviamo da qualche mese mi abbia colto di sorpresa: da anni ormai ero convinto che qualcosa del genere sarebbe successo primo o poi.
La bolla della speculazione finanziaria era diventata troppo grande, con le sue assurdità.
Negli ultimi tempi dell’ubriacatura finanziaria risultava più conveniente per chi aveva fondi investire in derivati piuttosto che nel lavoro umano (che è l’unica fonte che produce ricchezza reale).
Quello che forse non è ancora chiaro a tutti è che siamo di fronte a una crisi epocale e niente sarà più come prima; occorre ricostruire un’idea di comunità ed un sistema economico meno squilibrato del precedente.
A mio parere l’unica strada valida per uscire dalla crisi, che è economica, sociale e personale, sta nel ricostruire quelle relazioni sociali che nei paesi ricchi si sono perse e che invece consentono la vita nei paesi in difficoltà.
Un forte, nuovo impulso verso una vita cooperativa ed associativa nelle sue varie forme rappresenta un’ottima soluzione per rispondere alla crisi, insieme: per andare in questa direzione io e gli altri di Help to Change (www.helptochange.it) siamo pronti a fornire il supporto conoscitivo e logistico per far nascere GAS, Banche del tempo, cooperative e ambiti di relazione ed interscambio.
In alternativa, si può rispondere alla crisi chiudendosi nella difesa del proprio orto, sia a livello personale che a livello sociale: ma questa soluzione, oltre a darmi un forte senso di rigetto per le sue conseguenze sia a livello di esistenza individuale sia a livello di implicazioni sociali (la paura per il diverso, i disperati sui barconi rispediti a morire in Libia sono solo alcuni esempi), non garantisce alcunché; dietro i muri di difesa che si vanno a costruire rimangono uomini fragili e soli, in balia degli eventi.