Sfida all’apparente destino: introduzione

Prima di cominciare bisogna fermarsi un momento a ricordare, a guardare il proprio passato con un certo sguardo, lo sguardo di chi ricerca elementi comuni liberandosi dai giudizi morali.
Si scopre così che, nel bene e nel male, nella vita di ognuno ci sono una miriade di situazioni che si ripetono, che hanno elementi comuni, e queste ripetizioni tracciano un destino; un destino con la “d” minuscola però, perché benché sembri ineluttabile, può essere contrastato e cambiato.
La prima domanda che ci si può porre in questo percorso è: perché cambiare? La risposta  sta in ognuno ed a che fare, ad un primo livello, con l’interruzione degli errori e delle sofferenze che queste ripetizioni, queste coazioni e ripetere, generano.
Ad un altro livello, la risposta sta nella sensazione di chiusura e nonsenso che sta in queste ripetizioni.

Le ripetizioni e più in generale la meccanicità prende origine da un caratteristica positiva della nostra coscienza, quella di far partire risposte preconfigurate a situazioni già incontrate. Questa caratteristica della coscienza si è evoluta nella necessità di risparmiare energia ed è una caratteristica fondamentale. Diventa un problema quando la risposta meccanica risulta l’unica e genera situazioni sempre uguali (ripetizioni), chiudendo la possibilità di evoluzione personale e sociale.

Contrastare la meccanicità personale e sociale è possibile, anche se richiede un lavoro su se stessi continuo ed intenso.
La meccanicità, l’ ”apparente destino”, si combatte con alcuni strumenti:
Il primo è quello di conoscere sufficientemente le proprie meccanicità per riconoscerle nella loro azione. Per questo è utile il sistema di Autoliberazione.
Il secondo, occorre avere una rotta, un progetto: una rotta evolutiva è quella di cercare di aumentare la propria coerenza personale (pensare, sentire ed agire nella stessa direzione), senza dimenticare che è fondamentale mantenere le stessa coerenza con il resto del mondo (tratta gli altri come vuoi essere trattato). La rotta ed il progetto ci consentono di ridefinire il nostro destino, capire meglio quale meccanicità mantenere e quali modificare perché causano frizione.
Il terzo: un ambito di persone con cui discutere di questo, un insieme che condivide l'idea di sfidare l' "apparente destino".
E' necessario che queste persone siano "amiche" in un senso differente da quello che comunemente si intende: siano... in grado di farmi osservare le mie meccaniche, anche quando queste osservazioni urtano la mia sensibilità.
Interrompere od anche solo rendere esplicita una meccanica genera una tensione nella coscienza che si può esprimere in forme "poco simpatiche".
Gli "amici" adatti ad aituare questo lavoro deve essere sufficientemente "urticanti", "lucidi", "attenti" e "comprensivi".


Buon lavoro a tutti

Momenti di gloria

 
 
 
In questo video faccio il giudice/arbitro del Gioco della Nonviolenza, il gioco che ci siamo inventati per sensibilizzare ed informare sul tema della nonviolenza.
Qui, invece, c'è un articolo per parla di me, Irene e Danielino



Come si cambia

La memoria mi difetta, almeno per certi aspetti.

Sono capace di ricordare avvenimenti di decenni fa e magari scordare il nome di una persona che conosco da anni.

La tendenza a "soprassedere" su situazioni che mi generano malessere mi porta a scordare quelle situazioni e, poichè i ricordi sono strutturati e legati tra di loro, anche tutte le situazioni in qualche modo correlate.

Ecco perchè trovo preziosissimo il mio quaderno di appunti datato 1987, ritrovato in un cassetto qualche settimana fa.

L'avevo chiamato "Zibaldone" in onore di Leopardi e ci scrivevo tutto: le brutte dei temi, poesie, canzoni, pensieri.

Rileggendolo mi è tornato in mente il ragazzo che ero a vent'anni e quanto mi sono allontanato da quella persona che trascriveva su carta la vita che non aveva il coraggio di vivere fuori.

Ma mi sono anche reso conto che, al di là delle forme con cui la mia coscienza interagisce con il mondo, l'essenza di quel ragazzo, il suo disinteresse per i conformismi, la sua passione di giustizia, la sua voglia di cambiare il mondo sono ancora intatti nel Giorgio quarantaduenne; che da questo punto di vista è solo più scafato e stanco ...

Note giovanili in musica

Cerco
cerco un ordine
cerco un ordine perfetto
un Dio nell'universo.

Vola
vola fantasia
a coprire tutti i buchi
di una logica follia.

Semantica e gestualità del truzzo metropolitano



Un gruppo può definirsi tale se le persone che ne fanno parte condividono abitudini, modi di fare, espressioni di una cultura comune. L'uso di un certo tipo di linguaggio, la presenza di un certo tipo di modelli di riferimento e di aspirazioni permettono quindi di individuare il gruppo di appartenenza di una persona.

Perchè allora non fare un'analisi semi-seria del modo di essere dei vari gruppo sociali che "operano" nella realtà torinese?

Cominceremo l'analisi dal gruppo più semplice e chiassone, quello per certi versi più diretto nel suo modo di agire.

Tale gruppo è identificato nelle varie parti di Italia in modi diversi; nell' interland di Torino un' esponente tipico è classificato come "Tarro" o "Zarro" o più comunemente "Truzzo".

Il Truzzo ha normalmente un' età compresa tra i 14 e i 20 anni; prima non ha un'autonomia sufficiente per mostrare appieno le sue potenzialità, poi, a meno di casi patologici, si trasforma in qualcos'altro.
E' caratterizzato da un modo di esprimersi molto particolare, caratteristico; il suo linguaggio nasce in quel crogiuolo linguistico che è la nostra città, in particolare dalla fusione dei modi di esprimersi giovanili anni '70 (per intenderci, quelli magistralmente interpretati dal primo Verdone...) ed espressioni più comuni nell'Italia meridionale.

C'è, ad esempio, un improprio uso della congiunzione "cioè" ("cioè che storie", "Cioè..."), unito ad una dizione molto nasale ed a lunghe pause tra una parola e l'altra, spazi riempiti di solito prolungando l'ultima vocale ( "iooo ... nooo.. sto uscendo con una tipa, nooo..."), o aggiungendo delle parole riempitive (es. cioè, minchia, che ciocco, che storie ecc...).

Di tradizione più meridionalista è l'uso della parola "minchia" che perde il suo valore di definizione volgare dell'organo sessuale maschile per diventare una parola buona per tutte le occasioni; quasi una congiunzione quando usata in luogo del "cioè" ("io sono andato lì no e.... minchia quello mi guardava male, ma io .... minchia .... l'ho guardato più male di lui ecc."), oppure la classica espressione di meraviglia e sorpresa ("minchia!" oppure "minchia che storia!").

Un' altra caratteristica delle frasi gergali del truzzo è l'utilizzo del "no" come rafforzativo della frase che lo precede, in luogo di come negazione : "Cioè io sono andato lì...no... e ci ho detto delle cose ... no ... e lui mi ha guardato brutto!).
Meritano un discorso a parte le parole e le coloratissime espressioni coniate appositamente dal gruppo; si va dallo "Stai cisti", usato in luogo del più comune "Stai attento", al "Che Ciocco", utilizzato in tono di positiva meraviglia, dal "Cioè che storia" alle espressioni vagamente ribelli nei confronti dell'ordine cosmico quali "Zio Fa" e "Porcoddue".

Per quanto riguarda i modelli comportamentali, il Truzzo è molto sociale, legato strettamente al gruppo di dieci,dodici persone di cui fa parte, con cui normalmente condivide i luoghi di ritrovo; si tratta generalmente di Bar o sale giochi nei quali i vari gruppi passano la maggior parte del tempo libero; sono luoghi di ritrovo, interscambio, che il gruppo riconosce come territorio proprio.

Piuttosto interessanti sono i modelli di comunicazione del Truzzo; esso si rivolge ai suoi simili (gli appartenenti al suo gruppo) chiamandoli per nome.
Tutti gli altri vengono apostrofati con un generico "Ou" od un più cordiale "Hei tipo".

Per quanto riguarda i rapporti con l'altro sesso, si può registrare una delle poche differenze comportamentali tra il Truzzo maschio ed il Truzzo femmina (o Truzza) ; il Truzzo maschio è indubbiamente cacciatore, parla molto, mostra la sua forza fisica al Luna Park, finge di picchiare la "tipa".

La Truzza è più riflessiva, accetta la corte e mostra la sua approvazione ridendo o restituendo le botte. Se il corteggiamento ha buon esito "il tipo no ... si mette con la tipa e ... minchia no... è un bel ciocco.....la tipa comincia a girare con gli amici del tipo no .... e la vita continua".

In ultimo, emeriti studiosi del Truzzo hanno proposto una classificazione dei vari aspetti di questo poliedrico fenomeno in base al colore di un capo di abbigliamento tipico: il bomber.

Il Truzzo indossa normalmente il bomber blu, a differenza della Truzza che lo preferisce verde. Il "Truzzo alternativo" veste con preferenza il bomber bordeaux od il bomber canonico indossato al contrario (ponendo verso l'esterno la delicata imbottitura arancione).

Il Truzzo di ispirazione sinistroide indossa il bomber rosso, il "Truzzo dark" usa prevalentemente il bomber nero al contrario del "Truzzo militarista" che preferisce il bomber mimetico.

Il concerto di HoraNona per Help To Change - Ottobre 2007


Toccata e fuga



Guglielmo era stato, come al solito, troppo ottimista e se ne rese conto quando, alcuni mesi dopo, si ritrovò a fare bilanci del proprio passato ed ad programmare il suo futuro a medio lungo termine. Gli capitava di farlo solamente nei periodi di crisi più nera, quando, per dimenticare la tristezza del vivere quotidiano, proiettava la sua immaginazione ad un futuro pieno di gioie e soddisfazioni.
Si immaginava così a capo di popoli, oppure ad Oslo per ritirare un qualsiasi premio Nobel, oppure ad Hollywood, attorniato di donne bellissime; e pensava a quanto triste sarebbe stata la vita di Elena, rintanata in un angolo del mondo a piangere sull'opportunità che aveva perso; avrebbe potuto essere lei la donna al fianco di quel semidio!
Proprio quando Guglielmo pensava che, in fondo, non poteva condannare la povera Elena ad un tale futuro di sofferenze, comparve sulla scena Mimì.

Probabilmente, cari lettori, avrete già notato che mi diletto a descrivere i miei personaggi come degli attori di teatro che interpretano dei ruoli; questo perchè sono convinto che tutti, anche lontano dalla finzione scenica o letteraria, interpretino dei ruoli, più o meno consolidati.
Inoltre, descrivere i personaggi per sommi capi è molto più semplice per me e molto meno tedioso per il povero lettore. Così il Guru, che ha il ruolo del giovane donnaiolo e rappresenta l'archetipo dell' astuzia alla maschile è un personaggio completamente definito; se lo dovessi descrivere come è nato in realta nella mia mente dovrei utilizzare pagine e pagine per farne rivivere la vita, le esperienze, le tristezze, ottenendo probabilmente lo stesso risultato. E quindi il Guru rimane il Guru e diventa Tony solamente quando abbandona il suo ruolo. Stesso dicasi per Simbad, il Filosofo dell' Assurdo, l'Ingegnere.
Un riguardo particolare lo riservo soltanto a Guglielmo e a quanto di me stesso c'è in questo personaggio, quando vive la sua vita senza interpretare i suoi personaggi; quando lo fa diventa lo Psicologo o Butterfly. Alla stessa maniera vengono resi vivi i personaggi a più stretto contatto con Guglielmo; diciamo che in questa storia Guglielmo è il centro di gravità e gli altri personaggi (Guglielmo compreso) acquistano il rango di 'esseri' in funzione del loro modo di porsi nei confronti di questo centro.

Lo scopo di questa spiegazione è quello di cercare di superare l'imbarazzo nella definizione del personaggio di Mimì.
Quando è nata doveva essere una donna fragile, in balia di un mondo duro e spietato; sarebbe stata una Lucia di manzoniana memoria ed avrebbe riattivato in Guglielmo l'istinto protettivo del padre o del fratello maggiore. Rispetto all' ipotetica Lucia, Guglielmo sarebbe stato lo Psicologo.
Ma poi, nello spazio della mia immaginazione che fa da fucina per i personaggi, è nata una figura che potrei definire l'archetipo della malizia femminile; volitiva, forte e sensuale. Sarebbe stata una Messalina o una novella Salomè, in grado di trascinare ai suoi voleri stirpi di uomini. Rispetto a Salomè, Guglielmo avrebbe tentato di essere Butterfly.
Ho deciso allora di creare Mimì, un' esplosiva fusione di Lucia e Salomè, perché è giunto ormai il momento di far crescere Guglielmo.

Si diceva che Guglielmo è indaffaratissimo nel fare bilanci della sua vita; poichè ormai il ruolo dello Psicologo permeava anche i rapporti con se stesso, Guglielmo si stese idealmente in un lettino e si analizzò minuziosamente.
Scoprì così di essere terribilmente attratto dalle donne molto egocentriche, in grado di attirare su di sè le attenzioni di tutti i maschietti ; questo contrastava fortemente con la sua indole gelosa, e le sue "storie" sarebbero sempre state travagliate. Decise in maniera solenne di non innamorarsi più di donne egocentriche.
Inoltre, preso atto della sua facilità ad instaurare rapporti intimi con persone dell' altro sesso, cominciò a pensare che sarebbe stato meglio prolungare la fase del corteggiamento invece di buttarsi a peso morto su qualsiasi occasione favorevole. Questo perchè pensava che il ricordo del periodo di innamoramento può tenere insieme una coppia nei momenti in cui il rapporto diventa un po' più freddo.
In ultimo, notò che nella scelta della partner tendeva a seguire inconsapevolmente il suo desiderio di fuga, e cercava donne con le quali fosse possibile fuggire dal suo mondo per ricostruire tutto altrove. Non avrebbe più cercato donne che vivono da sole o in disaccordo con la famiglia perché, nel primo caso, avrebbe dovuto subire la concorrenza di decine di uomini (pensava infatti che appena un uomo conosce una donna che vive sola subito pensa che sia una donna facile), nel secondo non avrebbe potuto a lungo competere con la famiglia.
Imbaldanzito dalla sensazione di aver risolto definitivamente i suoi problemi di relazione con l'altro sesso, Guglielmo sintetizzò i suoi pensieri con lo slogan (peraltro riduttivo rispetto alla complessità del suo ragionamento) "basta con le donne egocentriche,facili e libere!", senza tener conto che così eliminava dalle sue mire il novantanove per cento delle ragazze disponibili.
Indipendentemente dalla correttezza della sua analisi, Guglielmo avrebbe dovuto tenersi lontano mille miglia da Mimì; la ragazza, infatti, incarnava perfettamente il quadro di 'situazione di pericolo' appena disegnato.
Si erano conosciuti qualche mese prima, tanto per cambiare ad una serata cantante nel parco del Valentino; Guglielmo era all' apice del suo grande amore per Elena, ed avrebbe voluto baciarla ed abbracciarla in continuazione. Ma in pubblico ciò non si poteva fare ed allora si limitava a starle intorno cercando di non dimostrare la sua impazienza. Mimì era all'apice della sua storia d' amore con un tizio; malgrado il suo appassionato sentimento per Elena, il nostro eroe non poté fare a meno di provare un certo tipo di attrazione per Mimì, con la sensazione che i loro idilliaci rapporti con i rispettivi partners non sarebbero durati a lungo. Per quella sera cancellò comunque dalla mente quel pensiero.

Quel certo tipo di attrazione ritornò una domenica pomeriggio, a casa di Simbad.
Mimì era in piena crisi "da abbandono" e lo stesso dicasi di Guglielmo, che comunque aveva intenzione di andare a trovare il giorno stesso la sua amata Elena, nella prospettiva di una sempre meno probabile riconquista.
- Perché non ti siedi più vicino, non ti mangio mica!! - esordì timidamente Mimì vedendo che Guglielmo stava un pò sulle sue. Il ragazzo non si fece ripetere l'invito due volte e si riscaldò al tepore del di lei sinuoso fianco.
Per quel pomeriggio Guglielmo dimenticò i suoi mali ed, esaltato, esaltò Mimì in un crescendo di entusiasmo che non si conosceva da mesi. Decise allora di rimanere a cena con Mimì e l'allegra compagnia.

Guglielmo non riesce a comprendere i suoi sentimenti e, passeggiando nervosamente, aspetta Mimì sotto il portone. Mimì è molto bella; ha capelli vaporosi che scendono su un viso capace di espressioni molto coinvolgenti; altrettanto coinvolgente trova il suo corpo che risalta orgoglioso malgrado i maglioni larghi.
Gli piace anche come lo ha circuito, desiderato, conquistato; è pervaso da quella sottile esaltazione dell' esploratore che, superata un dura montagna, si trova davanti un paesaggio bellissimo.
Ma, diversamente dall'esploratore, una sottile tensione gli si insinua nello stomaco. E non sa perchè.
Mimì, dal canto suo, prova una sensazione simile, come gli avrebbe confermato qualche ora più tardi.
Il programma della serata prevedeva il rafforzamento di un rapporto che era nato due sere prima: Guglielmo aveva fatto in modo di accompagnare a casa Mimì per verificare le chiacchere che circolavano in compagnia da qualche settimana. I beni informati giuravano che Mimì si era presa una cotta stratosferica per Guglielmo ed il nostro beniamino è un convinto assertore della teoria "Chiodo sciaccia chiodo" o "Quando Si Cade Da Cavallo Bisogna Subito Risalirci". Quindi Mimì poteva essere il modo migliore per dimenticare Elena, di cui continuava ad essere teneramente innamorato; anche perchè la ragazza era (ed è tuttora) decisamente interessante.
Giunti sotto casa di Mimì avevamo continuato a parlare e Guglielmo Butterfly si era deciso a rompere tutti gli indugi baciandola.
Da un po' di donne a questa parte il nostro Butterfly aveva trovato un modo infallibile per superare la timidezza: sentendosi decisamente scemo nella parte di colui che dichiara amore eterno (l'unica eccezione era stata Elena), appena aveva un vago sentore di accondiscendenza da parte della partner, le si buttava addosso baciandola passionalmente.
Non doveva dire nulla, il gesto era un' inequivocabile segno di gradimento, e nessuna finora lo aveva cacciato via con la classica ginocchiata nei ...
La tecnica del bacio appassionato funzionò anche per Mimì che, come si diceva, pareva non aspettare altro, e Guglielmo tornò trionfante a casa con la promessa di un appuntamento entro due giorni.

Vi ho già parlato del mio imbarazzo nel descrivere Mimì: penso che i lettori più attenti l'abbiano anche notato dal disordine con cui sto descrivendo questa avventura di Guglielmo . In realtà non riesco proprio ad immaginarmi come si dovesse sentire Mimì in quel momento, quando esce dal portone di casa sua ed il nostro è così assorto nei suoi pensieri.
Lei si può intuire, è possibile sentire quello che prova ed il flusso delle sue emozioni, ma non si può capire a fondo...

Riflessioni a ruota libera (Terza parte)

Vivo, morto o X. Ligabue è adattissimo per pedalare, ti da il ritmo giusto.

Perché questa improvvisa voglia di scrivere, di aggiornare un blog inattivo da qualche mese (dal mio ultimo viaggio in Senegal)?

Non c’è una sola causa, ma un sistema di concause con pesi diversi; trovo il modello causa-effetto tremendamente poco adatto per descrivere qualsiasi realtà, anche la più semplice, figuriamoci se basta per descrivere una società complessa o quello che capita nella mia testa.
Questa mia antica idea ha trovato una perfetta spiegazione teorica nella legge di concomitanza del metodo strutturale dinamico ed ancora prima nella teoria di campo di Lewin.

Ci sono diverse cause.
La prima è quel malessere di cui parlavo in precedenza, un malessere legato alle diverse difficoltà personali e di prospettive future che mi trovo ad affrontare.
La seconda è quella di guardarsi dentro e recuperare memoria.
Negli ultimi anni la mia memoria mi ha dato qualche preoccupazione; ricordo con precisione gli eventi fondamentali ed i concetti cardine che fanno parte della mia formazione, ma mi sfuggono progressivamente i particolari.
Per un certo periodo ho pensato che questo antipatico problema fosse una conseguenza del meningioma che mi hanno asportato nel 2006, ed allora non c’è niente da fare.

Di recente ho voluto darmi delle speranze in più; forse la mia memoria è solo dormiente, forse è in atto una colossale rimozione che cancella, oltre alla memoria, i miei sogni notturni, le mie reazioni istintive e mi rende inefficace nell’azione trasformatrice del mondo.
Con la memoria dimezzata si dimezza anche la mia concezione di me stesso così come la memoria di me negli altri mi garantisce quella sopravvivenza che altri cercano nei paradisi post-mortem; quindi diventa indispensabile affrontare quella rimozione frontalmente, con tutti gli strumenti di analisi che conosco.

Qualche anno fa ho rischiato di saltare dall’altra parte, nel campo degli amici di Basaglia, dei diversamente normali di cui ho già parlato; per cercare di evitare questo rischio ho cercato delle soluzioni in vari campi, alcune strade si sono rivelate sterili, altre risolutive.

Una delle strade risolutive è stata quella di aprirsi ad alcune persone, condividendo pensieri che avevo sempre tenuto gelosamente per me; e questo mi ha consentito un evoluzione imprevedibile e mi ha concesso esperienze ed anni straordinari.

Il mio vecchio nemico (una parte di me stesso) è comunque ancora lì e pedala con me, se non posso batterlo lo invito a prendere un caffè per fare quattro chiacchere.

Riflessioni a ruota libera (seconda parte) - Torino 9 aprile 2010

... “la normalità è un concetto limite e come tale non esiste, è inutile impegnarsi tanto per cercare di raggiungerla e mantenerla”. Perché poi mi è venuta in mente questa perla di saggezza sulla normalità? Forse a causa di un post di Laura che sembrava dispiacersi di non poter godere di un simile stato mentale.
Normale ... magari si potesse essere normali; forse ci si riuscirebbe uccidendo qualche centinaio di milioni di neuroni per scordare le cose straordinarie che ho visto, quelle che ho annusato, le grandi idee che mi hanno svegliato e mosso dal letto giorno dopo giorno.

E non cambia niente se quelle idee si sono rilevate delle illusioni oppure irrealizzabili nel livello di coscienza medio del genere umano contemporaneo, le esperienze le ho fatte e non posso tornare a vivere come se niente fosse; dopo aver parlato di misticismo e futuro su un carretto sotto la luna piene con un talibè (equivalente francese di talebano, ovvero studente coranico) non si può più accettare passivamente gli interventi della CEI.
Dopo aver visto un bimbo ridotto pelle ed ossa da una qualche malattia neuro degenerativa e gli occhi della madre che mi chiedeva se, secondo me, sua figlio avesse qualcosa che non andava, non si può ritornare normali.

Ma senza andare verso esperienze così estreme non si può essere normali e bersi tutte le palle che si propongono alla normalità; ne va della propria salute mentale.

A proposito di salute mentale, le mie ruote sono ormai su corso Francia quanto mi balena in mente in fantasma di Basaglia. Che uomo. Pensare che uno un giorno decide che i matti non sono matti, ma solo diversamente normali e dedica la vita a diffondere questo semplice concetto ed un mondo chiuso si apre, si rivoluziona, scompare.

Ahimè, nella mia infinita ignoranza non ho mai letto niente di Basaglia: devo ammettere (e questa è una ferita mortale al mio snobbismo) di averlo conosciuto meglio solo con la fiction a lui dedicata e non sono in grado di stabilire quanto fosse realistica.

In realtà ho incontrato il pensiero di Basaglia qualche anno fa, quando mi divertivo a frequentare con Claudia una serie di luoghi fuori dal comune; in una di queste scorribande siamo finiti al manicomio di Collegno, in fase di smantellamento ma ancora operativo in alcuni suoi reparti.
Quella sera finimmo in una festa organizzata dai basagliani: metà dei presenti erano sani (non mi sento di definirli normali perché non può essere normale chi si trova in certi ambiti), l'altra metà erano utenti del manicomio.

La malattia mentale mi ha sempre messo paura, forse perché so che, in fondo in fondo, sono borderline, ovvero, in parole più semplici, un po' pazzo anch'io. Quella sera la ricordo comunque come piacevole anche se non ci fu verso di convincere uno degli invitati che io non avevo sigarette.

Anche questa volta sono attivato in ufficio.

Vivo, morto o X?

Riflessioni a ruota libera (prima parte) - Torino 8 aprile 2010

Amo andare in bici, soprattutto dopo aver vinto la resistenza dell’abitudine a girare per la città in auto, l’illusione di non avere tempo a sufficienza ed anche, concretamente, i limiti fisici di un corpo non molto allenato allo sforzo.

Già perché io, se si esclude una breve parentesi una ventina d’anni fa, ho sempre privilegiato il pensiero alla forma fisica.

In ogni caso, quando riesco a prendere il mio culone ed appoggiarlo nel sellino della mia vecchia mountain bike non me ne pento; scarico tensioni, mi sento molto più figo o cool come si usa dire oggi e penso.

Oggi ad esempio ho pensato alla sensazione di malessere che mi attanaglia da un po’ di giorni ed ho cercato di dargli dei nomi, dei volti, dei motivi.

Sono partito da una considerazione di base: una delle cose che mi infastidisce di più è la sensazione di non lasciar traccia.

Non sono credente, quindi non ho una fede particolare su paradisi post mortem.
Credo piuttosto in un universo di cui tutti facciamo parte, che per il momento ho visto descritto nella maniera migliore da Richard Bach in Uno.
Se non ricordo male, l’autore de “Il Gabbiano Jonathn Livingstone” si inventa una metafora simile: ognuno di noi, nella sua individualità, è come una radio sintonizzata ad una sua frequenza particolare. Quindi ognuno trasmette una parte dei messaggi che ci sono nell’etere, ma l’etere è Uno.

Ma continuo a divagare, dicevo una delle cose che mi infastidisce di più è la sensazione di non lasciar traccia o meglio di non riuscire ad essere risolutivo nel cambiare in meglio la vita delle persona che mi stanno intorno.

Nella salita del Parco Ruffini tento di fare un bilancio dei miei quarantadue anni; sarà la fatica di una piccola salita che per me è un gran premio della montagna, ma l’unica cosa che mi viene in mente è una cosa del tipo “la normalità è un concetto limite e come tale non esiste, è inutile impegnarsi tanto per cercare di raggiungerla e mantenerla”…