Riflessioni a ruota libera (Terza parte)

Vivo, morto o X. Ligabue è adattissimo per pedalare, ti da il ritmo giusto.

Perché questa improvvisa voglia di scrivere, di aggiornare un blog inattivo da qualche mese (dal mio ultimo viaggio in Senegal)?

Non c’è una sola causa, ma un sistema di concause con pesi diversi; trovo il modello causa-effetto tremendamente poco adatto per descrivere qualsiasi realtà, anche la più semplice, figuriamoci se basta per descrivere una società complessa o quello che capita nella mia testa.
Questa mia antica idea ha trovato una perfetta spiegazione teorica nella legge di concomitanza del metodo strutturale dinamico ed ancora prima nella teoria di campo di Lewin.

Ci sono diverse cause.
La prima è quel malessere di cui parlavo in precedenza, un malessere legato alle diverse difficoltà personali e di prospettive future che mi trovo ad affrontare.
La seconda è quella di guardarsi dentro e recuperare memoria.
Negli ultimi anni la mia memoria mi ha dato qualche preoccupazione; ricordo con precisione gli eventi fondamentali ed i concetti cardine che fanno parte della mia formazione, ma mi sfuggono progressivamente i particolari.
Per un certo periodo ho pensato che questo antipatico problema fosse una conseguenza del meningioma che mi hanno asportato nel 2006, ed allora non c’è niente da fare.

Di recente ho voluto darmi delle speranze in più; forse la mia memoria è solo dormiente, forse è in atto una colossale rimozione che cancella, oltre alla memoria, i miei sogni notturni, le mie reazioni istintive e mi rende inefficace nell’azione trasformatrice del mondo.
Con la memoria dimezzata si dimezza anche la mia concezione di me stesso così come la memoria di me negli altri mi garantisce quella sopravvivenza che altri cercano nei paradisi post-mortem; quindi diventa indispensabile affrontare quella rimozione frontalmente, con tutti gli strumenti di analisi che conosco.

Qualche anno fa ho rischiato di saltare dall’altra parte, nel campo degli amici di Basaglia, dei diversamente normali di cui ho già parlato; per cercare di evitare questo rischio ho cercato delle soluzioni in vari campi, alcune strade si sono rivelate sterili, altre risolutive.

Una delle strade risolutive è stata quella di aprirsi ad alcune persone, condividendo pensieri che avevo sempre tenuto gelosamente per me; e questo mi ha consentito un evoluzione imprevedibile e mi ha concesso esperienze ed anni straordinari.

Il mio vecchio nemico (una parte di me stesso) è comunque ancora lì e pedala con me, se non posso batterlo lo invito a prendere un caffè per fare quattro chiacchere.

Riflessioni a ruota libera (seconda parte) - Torino 9 aprile 2010

... “la normalità è un concetto limite e come tale non esiste, è inutile impegnarsi tanto per cercare di raggiungerla e mantenerla”. Perché poi mi è venuta in mente questa perla di saggezza sulla normalità? Forse a causa di un post di Laura che sembrava dispiacersi di non poter godere di un simile stato mentale.
Normale ... magari si potesse essere normali; forse ci si riuscirebbe uccidendo qualche centinaio di milioni di neuroni per scordare le cose straordinarie che ho visto, quelle che ho annusato, le grandi idee che mi hanno svegliato e mosso dal letto giorno dopo giorno.

E non cambia niente se quelle idee si sono rilevate delle illusioni oppure irrealizzabili nel livello di coscienza medio del genere umano contemporaneo, le esperienze le ho fatte e non posso tornare a vivere come se niente fosse; dopo aver parlato di misticismo e futuro su un carretto sotto la luna piene con un talibè (equivalente francese di talebano, ovvero studente coranico) non si può più accettare passivamente gli interventi della CEI.
Dopo aver visto un bimbo ridotto pelle ed ossa da una qualche malattia neuro degenerativa e gli occhi della madre che mi chiedeva se, secondo me, sua figlio avesse qualcosa che non andava, non si può ritornare normali.

Ma senza andare verso esperienze così estreme non si può essere normali e bersi tutte le palle che si propongono alla normalità; ne va della propria salute mentale.

A proposito di salute mentale, le mie ruote sono ormai su corso Francia quanto mi balena in mente in fantasma di Basaglia. Che uomo. Pensare che uno un giorno decide che i matti non sono matti, ma solo diversamente normali e dedica la vita a diffondere questo semplice concetto ed un mondo chiuso si apre, si rivoluziona, scompare.

Ahimè, nella mia infinita ignoranza non ho mai letto niente di Basaglia: devo ammettere (e questa è una ferita mortale al mio snobbismo) di averlo conosciuto meglio solo con la fiction a lui dedicata e non sono in grado di stabilire quanto fosse realistica.

In realtà ho incontrato il pensiero di Basaglia qualche anno fa, quando mi divertivo a frequentare con Claudia una serie di luoghi fuori dal comune; in una di queste scorribande siamo finiti al manicomio di Collegno, in fase di smantellamento ma ancora operativo in alcuni suoi reparti.
Quella sera finimmo in una festa organizzata dai basagliani: metà dei presenti erano sani (non mi sento di definirli normali perché non può essere normale chi si trova in certi ambiti), l'altra metà erano utenti del manicomio.

La malattia mentale mi ha sempre messo paura, forse perché so che, in fondo in fondo, sono borderline, ovvero, in parole più semplici, un po' pazzo anch'io. Quella sera la ricordo comunque come piacevole anche se non ci fu verso di convincere uno degli invitati che io non avevo sigarette.

Anche questa volta sono attivato in ufficio.

Vivo, morto o X?

Riflessioni a ruota libera (prima parte) - Torino 8 aprile 2010

Amo andare in bici, soprattutto dopo aver vinto la resistenza dell’abitudine a girare per la città in auto, l’illusione di non avere tempo a sufficienza ed anche, concretamente, i limiti fisici di un corpo non molto allenato allo sforzo.

Già perché io, se si esclude una breve parentesi una ventina d’anni fa, ho sempre privilegiato il pensiero alla forma fisica.

In ogni caso, quando riesco a prendere il mio culone ed appoggiarlo nel sellino della mia vecchia mountain bike non me ne pento; scarico tensioni, mi sento molto più figo o cool come si usa dire oggi e penso.

Oggi ad esempio ho pensato alla sensazione di malessere che mi attanaglia da un po’ di giorni ed ho cercato di dargli dei nomi, dei volti, dei motivi.

Sono partito da una considerazione di base: una delle cose che mi infastidisce di più è la sensazione di non lasciar traccia.

Non sono credente, quindi non ho una fede particolare su paradisi post mortem.
Credo piuttosto in un universo di cui tutti facciamo parte, che per il momento ho visto descritto nella maniera migliore da Richard Bach in Uno.
Se non ricordo male, l’autore de “Il Gabbiano Jonathn Livingstone” si inventa una metafora simile: ognuno di noi, nella sua individualità, è come una radio sintonizzata ad una sua frequenza particolare. Quindi ognuno trasmette una parte dei messaggi che ci sono nell’etere, ma l’etere è Uno.

Ma continuo a divagare, dicevo una delle cose che mi infastidisce di più è la sensazione di non lasciar traccia o meglio di non riuscire ad essere risolutivo nel cambiare in meglio la vita delle persona che mi stanno intorno.

Nella salita del Parco Ruffini tento di fare un bilancio dei miei quarantadue anni; sarà la fatica di una piccola salita che per me è un gran premio della montagna, ma l’unica cosa che mi viene in mente è una cosa del tipo “la normalità è un concetto limite e come tale non esiste, è inutile impegnarsi tanto per cercare di raggiungerla e mantenerla”…