Penna bianca

L’entrata nel mondo del lavoro non è stata facile, ma del resto cambiare ambiente non è mai stato facile per me.

La scuola superiore la conoscevo a memoria, ne ero padrone e sapevo come muovermi, cosa potevo fare, dove potevo arrivare.

In ufficio tutto è nuovo ed inoltre, la persona che deve “formarmi” aveva deciso di andarsene perché si era rotto le scatole del capo o semplicemente perché gli offrivano più soldi; negli anni dell’informatica pioneristica è facile cambiare lavoro per avere uno stipendio più alto.

Così mi trovo a dover sostituire il mio ex-collega nelle sue mansioni senza sapere nemmeno da che parte mettere la cassetta nella workstation.

In questo stato mi presento nell’azienda in cui devo installare il mio primo software tutto da solo e gestire il mio primo corso di formazione, nella nebbiosa periferia sud di Torino.

Fino ad allora per me via Mille Lire era solo un luogo mitico, che le leggende metropolitane descrivevano come un covo di avanzi di galera dove gli zitarri erano più veloci delle lingue e l’eroina scorreva a fiumi; in realtà il luogo non sembrava così terribile, solo un po’ desolato e le prime foschie di ottobre davano allo stabilimento un aspetto austero.

Mi presento al responsabile dell’ufficio tecnico, un signore di mezza età dall’aspetto burbero.
“Greco? Sei meridionale vero?” “Si, di origini siciliane” risposi con una punta di orgoglio; al signor Bottero  non interessa che il futuro del suo ufficio tecnico fosse nelle mani di uno sbarbatello diciannovenne appena uscito dalla scuola superiore, è più preoccupato della mia provenienza geografica.

D’improvviso il non saper esattamente cosa devo fare in quel luogo con poca luce al neon passa in secondo piano perché  devo dimostrare quello che so fare e guadagnarmi un certo livello di rispetto in quell’ambiente ostile; per fortuna coloro che devo formare non erano proprio dei geni informatici;  io so che per indicare ad un computer che hai finito di digitare un comando devi premere il tasto enter, ma questo concetto non era ancora ben radicato nel mio auditorio nordico (anni dopo avrei usato il termine padano) e questa conoscenza basica mi consente di dissimulare la mia totale inesperienza e di guadagnare il tempo sufficiente per capire che fare.

Durante i pranzi nella mensa aziendale, ascoltando come il signor Bottero metteva in croce un suo disegnatore, reo anche lui di essere meridionale, ho pensato a mio padre ed a quante deve averne sopportate dentro Mirafiori Carrozzeria con il suo accento della provincia di Palermo.
Forse dopo un po’ ci si abitua oppure diventi un specie di alieno per entrambi i mondi; troppo meridionale per essere piemontese e troppo piemontese per essere meridionale.
E l’ho ringraziato di avermi permesso, con il suo lavoro, quel piccolo vantaggio dell’enter che mi ha consentito di parlare alla pari con quei piemontesissimi quadri e di superarne i pregiudizi.

Alla fine del corso di formazione, quando i disegnatori dell’azienda hanno imparato l’uso dell’enter ed io ho capito come funziona il software di cui stavo insegnando l’uso, un soddisfatto signor Bottero mi fa “Tu Greco sei un meridionale buono. Ti diamo la penna bianca come agli indiani buoni”.


Suppongo volesse essere un complimento. 

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